C’è un’aria nuova, da molti mesi oramai, abbiamo sentito il suo calore con le grandi manifestazioni di piazza e di conflitto di student* e precar*, e ancora arriva e soffia prepotentemente dal maghreb e dal mediterraneo, da luoghi da tempo congelati nell‘immaginario “occidentale” – attraverso lo sguardo coloniale e razzista – come spazi legati ad una inamovibile e “arretrata cultura” refrattaria al cambiamento sociale. E’ la stessa aria che denuncia i costi di una devastante crisi sociale ed economica, ma parla il linguaggio appassionato dell’indignazione per un sistema sociale complessivamente iniquo.
In questo clima l’appello (razzista, ancorchè moralista), lanciato alle “italiane” da alcune donne del centro-sinistra e sostenuto dai loro media di riferimento come Repubblica, di scendere in strada contro il sultano papi Berlusconi non poteva cadere nel vuoto.
E la piazza non si è fatta pregare: una presenza moltitudinaria di donne ha riempito oltre 250 piazze del paese, un milione di donne in una giornata ricca non solo numericamente, ma anche per l’ eccedenza soggettiva che ha espresso.
Certo in piazza -oltre ad uno strumentale e propagandistico ceto politico- c’erano tante donne di tante età con voci e idee dissonanti, contraddittorie, confuse (a volte retrive): eppure è forse ancora una volta il caso di pensare: grande confusione sotto il cielo, la situazione si preannuncia ottima !
D’altra parte un solco è stato tracciato. Come un virus informatico ha attaccato il web- il grande strumento capace nelle lotte contemporanee di produrre informazione e nuove forme metaorganizzative- contagiando discussioni su fb, forum, mailing list, blog.
E’una riga sinuosa, allegra, chiassosa, colorata di rosso. E’fatta di molteplici corpi indocili che hanno attraversato, contaminato, oltrepassato e tracciato i nuovi confini della stessa manifestazione.
Le donne che l‘hanno animata, e soprattutto le giovani, le studentesse e le precarie – la nuova generazione in aperto conflitto con l’esistente- hanno fatto la differenza.
Le loro molteplici voci hanno denunciato le precarie condizioni materiali di esistenza, l’assenza di reddito e di prospettive per il futuro; lo smantellamento del welfare (nidi, scuole, consultori); le condizioni di non vita delle donne nei CIE; l’alleanza tra neoliberismo -che taglia e privatizza, e che di fatto impone un welfare familistico a carico delle donne- e il fondamentalismo cattolico, con i suoi modelli di vita liberticidi e la famiglia patriarcale eterosessista come norma.
Ma le donne non si sono limitate alla denuncia della violenza di un sistema: esse hanno come sempre fatto un passo oltre riaffermando il principio di libertà che passa attraverso l’autodeterminazione dei corpi e delle vite.
Non vogliamo né la difesa di uno status quo ante, né una sua ipocrita riforma: noi vogliamo tutto. E vogliamo tutto è uno degli slogan che si riaccendono di nuova vita nei contemporanei blog femministi.
Gli ombrelli rossi – simbolo dei diritti civili delle prostitute – sono stati un po’ dappertutto l’icona di questa nuova cartografia del desiderio.
Un desiderio animato da nuovo reticolo di una soggettività molteplice e differente, – composto da sex workers, trans, lesbiche, e tanto altro di non conforme- e che si prodotto per autopoiesi a partire dalla indispensabile critica al femminismo benpensante, normativo e puritano, eterosessuale ed eurocentrico.
Il movimento che lo nutre è fatto di una miriade di progetti femministi in divenire tesi a smantellare le strutture del dominio e i dispositivi politici che producono le stesse differenze di classe, di razza, di genere e di sessualità.
L’agenda politica della odierna lotta al patriarcato riparte da qui, da questa festa in rosso. Dalla capacità di coniugare la lotta alla precarietà alla molteplicità e irriducibilità delle differenze soggettive che irrompono nella scena contemporanea conflitto; dalla capacità stessa di mettere in discussione il genere come fonte dicotomica di costruzione di un biopotere normativo; dalla messa in scena di forme di cooperazione che sappiano riappropriarsi del comune e contemporanamente produrre dentro il comune nuovi immaginari e nuove pratiche per i corpi e per le vite.
Siamo tutte egiziane, gridavano le donne che rompendo divieti e confini entravano in piazza Montecitorio.
L’Egitto è vicino, prepariamoci.
Pris