di ROBERTA POMPILI
Le politiche di controllo della fertilità e di normazione dei corpi ri/produttivi sono in atto da tempo nel nostro Paese. Nel 2007 un articolo pubblicato su American Anthropologist[1] esaminava tali politiche, in particolare occupandosi della proposta di baby bonus per incentivare le nascite fatta nell’anno 2003 dal governo Berlusconi e la successiva legge 40 (2004) la cui approvazione ha condizionato e ristretto la possibilità di ricorrere alle pratiche di procreazione assistita. Le due autrici del saggio, osservando l’incremento di discorsi scientifici e politici circa il “problema” demografico in Italia (che si sono avviati sin dagli anni Novanta), mettono in evidenza la comparsa di un fronte pronatalista, contemporaneo al manifestarsi di un nuovo ordine ideologico nel quale la bassa natalità viene ritenuta dannosa. Secondo l’analisi condotta nel saggio, non è affatto casuale la coesistenza di incentivi per invertire la bassa natalità e di proibizioni riguardanti la procreazione assistita. Entrambi i temi vanno inquadrati all’interno di politiche di governance e di “coesione sociale”. Discorsi scientifici da un lato e populisti dall’altro che hanno un unico obiettivo, ovvero funzionano come una sorta di “viagra sociale”. In definitiva, servono a “ringiovanire” le norme familiari. Provano a fortificare e a rinvigorire il terreno politico dello stato-nazione, soggetto a una crisi irreversibile che rende faticoso raggiungere e a mantenere la supposta “modernità”, contro lo sfondo dell’immigrazione e visto il problema dell’invecchiamento della popolazione.
La proposta di legge regionale Tarzia rappresenta un nuovo tassello di queste politiche di governance. L’interesse di Olimpia Tarzia per le questioni legate alla natalità è di lunga data. In quanto promotrice del Movimento per la vita e della fatidica giornata del Family day, la consigliera sì è da sempre occupata di temi inerenti la riproduzione. Il suo attacco ai consultori pubblici va inserito in una situazione di generale difficoltà della sanità pubblica – sottoposta alla logica della privatizzazione – e per gli stessi servizi consultoriali che lamentano una cronica mancanza di personale (laddove esiste). Era il 1975 quando fu approvata la legge nazionale 405 che istituiva i consultori pubblici. Questa legge, come altre leggi degli anni ’70 (legge sul divorzio, depenalizzazione dell’aborto) era conseguente a una lunga stagione di lotte delle donne, la cui soggettività radicale aveva contribuito a trasformare le strutture di dominio e le gerarchie di genere della società italiana. Nonostante i consultori venissero definiti “familiari”, la legge affermava per la prima volta nel diritto del nostro stato la separazione fra riproduzione e sessualità femminile, principio che troverà ulteriormente legittimità nella legge 194 del 1978. La legge Tarzia di “riforma e riqualificazione dei consultori” si propone di modificare radicalmente il ruolo, la funzione dei consultori nonché la loro stessa organizzazione.
La Tarzia pone come obiettivo la ridefinizione del “ruolo dei consultori non più strutture prioritariamente deputate a fornire in modo asettico una serie di servizi sanitari o pari-familiari alle famiglie, bensì istituzioni vocate a promuovere la famiglia e i valori etici di cui essa è portatrice”. Mentre la legge 405 parla di un servizio e di accesso allo stesso della famiglia, della coppia e del singolo, la Tarzia riconosce socialmente solo la famiglia e in particolare quella fondata sul matrimonio, “valorizzata e tutelata nelle sue caratteristiche di unità e fecondità” (articolo 1). E se la sacra famiglia sancita dal matrimonio è dedita, come suo ruolo naturale, alla procreazione (ruolo da tutelare e vigilare), lo sguardo successivo della legislatrice si posa immediatamente sulla maternità e sul concepimento: il concepito diventa immediatamente “vita nascente” e “membro di una famiglia”. A tale proposito vengono previste procedure molto dettagliate finalizzate a evitare (e ostacolare) l’interruzione volontaria di gravidanza. Ma la proposta della Tarzia ha un elemento di “innovazione” ulteriore, molto interessante dal punto di vista della governance: la presenza di associazioni e di gruppi pro-family e di volontariato che dovrebbero entrare nel meccanismo di gestione e controllo dei consultori pubblici e quindi della vita familiare. La proposta di legge del Lazio in questo senso è un banco di prova, un test per il territorio nazionale, in cui si misura la possibilità di un nuovo welfare comunitario e societario, basato sulla sussidiarietà in un mix privato-pubblico: il pubblico non è completamente dismesso, ma palesemente subalterno e funzionale da una parte all’imposizione di supposte norme “etiche” e valoriali e dall’altra all’avanzata aggressiva degli interessi privati (vedi gli sgravi fiscali agli enti che collaborano volontariamente nella struttura e l’equiparazione e il finanziamento dei consultori privati). Consultori preposti a vigilare sulla famiglia, restrizione delle norme sulla procreazione assistita, baby bonus: “viagra sociali” per reinventare la famiglia e lo stato-nazione, dicevamo.
Politici, gruppi tradizionalisti e cattolici si affannano a imporre un ordine sociale sessuato attraverso la rinnovata centralità della famiglia eterosessuale, per cercare di contenere una complessa e dinamica realtà sociale che produce incessantemente nuove forme di vita, relazione, sessualità, affetto ed è … incontenibile. D’altra parte, l’imposizione egemonica del modello del nucleo famigliare tradizionale (eterosessuale e possibilmente autoctono) contribuisce, nella crisi della contemporaneità, a risituare i corpi femminili nello spazio domestico, nel lavoro di cura, nella dimensione del welfare privatistico familiare rilanciata dalla crisi finanziaria globale. In un certo senso, la biopolitica contemporanea si allea al fondamentalismo, che cerca di negare ai corpi la loro potenza nello spazio pubblico per ricacciarli nello spazio privato e nelle più classiche gerarchie del genere.
Proprio per questo la sfida che abbiamo davanti è quella di irrompere nello spazio pubblico e riappropriarci dei consultori – così come di tutti quegli spazi di cui abbiamo bisogno – e, attraverso pratiche costituenti, risignificarli, reinventandoci contemporaneamente il welfare adeguato alle nostre nuove esigenze. I movimenti delle donne, che hanno in passato dato vita a questi stessi consultori, sono tornati in scena: nel Lazio come nel resto d’Italia sono pronti a raccogliere questa sfida e da mesi animano turbolente assemblee e vivaci iniziative. L’autonomia e la libertà sessuale, l’autodeterminazione delle scelte di vita, la salute stessa delle donne sono al centro di questo conflitto: corpi fuori dalla norma, soggettività eccedenti reclamano un’altra vita e non sono disposti ad alcuna mediazione: “Questa è vita e qui non si tratta!”, dichiarava un volantino dell’assemblea delle donne in difesa dei consultori del Lazio.
Ciao Roberta, ho letto il tuo articolo e ho un’opinione diversa, vorrei esprimerla. Navigando su Internet ho letto molte polemiche per lo più di ordine ideologico sulla legge Tarzia. Viene definita smantellatrice della 194 e descrivetta come “violenta” ed offensiva per le donne.
Noi però non siamo più le donne dei tempi degli aborti clandestini, abbiamo lottato e conquistato, siamo più forti, consapevoli di noi stesse e di quello che rappresentiamo nella società . Nessuno potrebbe farci “il lavaggio del cervello” per farci cambiare idea su una decisione presa, tantomeno solo per il fatto che a proporci l’alternativa è un religioso.
Cosa succede quando invece non siamo convinte della scelta fatta? Quando a spingerci è la paura o la depressione momentanea? Allora benvenuto qualcuno che ci aiuti e ci prospetti alternative valide potrebbe evitare uno dei drammi che purtoppo avviene sempre più spesso… perchè anche la donna più risoluta e determinata a ricorrere all’IGV vive un dramma personale che si portera appresso tutta la vita.
Perchè spaventarsi allora se a proporre un’alternativa è un uomo di chiesa? perchè gridare allo scandalo se viene offerto un piccolo aiuto economico? Si evitasse anche una sola interruzione su 100 ne sarebbe comunque valsa la pena. Non sarà forse solo un motivo politico? A me sembra che sempre più spesso si dica che le cose vanno male (ed i consultori così come sono strutturati oggi vanno male) ma poi si faccia del tutto affinchè le cose non cambino.